Il bonus psicologico, ancora un modo per sottrarsi alle responsabilità sulla gestione politica e sanitaria
Il diritto alla salute, ed in particolare alla salute psicologica, non può esaurirsi in un bonus/contributo governativo per tamponare una condizione di malessere generale della collettività che va ben oltre una situazione emergenziale.
Possiamo osservare quanto il disagio mentale sia evidente e ben strutturato e rappresenti una stabile condizione esistenziale presente in ogni individuo.
La salute non è uno “stato” ma un processo ed è un processo complesso che ha a che fare con più sistemi con i quali ognuno di noi interagisce.
Sistema Fisico/sistema psichico/sistema sociale.
La “buona” salute quindi è un presupposto di base per cui l’individuo, il gruppo, la comunità tutta, devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni e vivere una vita piena.
Va da se’ che l’intervento debba essere altrettanto complesso; e che per intervenire su tutti i livelli e le determinanti della salute non è pensabile che si lavori sull’emergenza attraverso livelli essenziali di cura.
Gli incentivi politici alla cura possono essere importanti ma se non c’è una progettualità su tutti i sistemi, allora si rischia, come sempre, di curare un sintomo senza guardare l’interezza.
Il bonus è l’ennesimo tentativo di mettere un cerotto su una ferita più ampia.
Può essere pericolosamente fuorviante sostenere che il disagio psicologico sia una conseguenza dell’affezione da Covid, oltre che scientificamente miope ed arrogante.
È evidente quanto il malessere generalizzato sia maggiormente riferibile alla gestione politica e sanitaria che ha imperversato dall’inizio dell’emergenza epidemiologica.